Chiamati a conversione affinché il Signore invii operai alla sua messe

“La Giornata di Preghiera porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi, siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente, a camminare insieme per scoprirli e a discernere a cosa lo Spirito ci chiama”.

“Chiamati a seminare la speranza e costruire la pace”, è il tema del messaggio di papa Francesco per la 61 esima Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni che si celebra nella IV domenica dopo Pasqua. La vocazione, secondo il Papa, è dare corpo e cuore alla speranza.

“La Giornata di Preghiera porta impresso il timbro della sinodalità: molti sono i carismi, siamo chiamati ad ascoltarci reciprocamente, a camminare insieme per scoprirli e a discernere a cosa lo Spirito ci chiama”.

Lo Spirito invita i religiosi ad avere il coraggio di mettersi in gioco, a un sincero percorso di conversione, a essere “Pellegrini di speranza”. “La speranza non delude” (Rm 5, 5), “Nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8, 24), per cui le persone consacrate “offrono la propria esistenza al Signore, portando avanti con creatività il loro carisma”.

Il Papa invita alla conversione, a ripensare la forma della vita consacrata, a non riconfermare stili di vita ambigui, a creare nuove opportunità di testimonianza di gioia, di preghiera come esperienza di verità, per affrontare paure e fragilità, liberandosi dalle false rappresentazioni di se stessi. 

“Invita a dire no all’ipocrisia, ad avere lacrime che purificano il cuore”, pentimento, pianto amaro che cambi la vita, per una rinascita interiore. Il cuore, senza pentimento e pianto, s’irrigidisce, diventa “cuore di pietra”. Come la goccia scava la pietra, così le lacrime lentamente scavano i cuori induriti.

È il miracolo “della buona tristezza che conduce alla dolcezza”, pianto che consente di riscoprire l’amore che libera da convinzioni e giustificazioni fasulle. Il vero pentimento, “non è un senso di colpa che butta a terra, non è una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce”. “Piangere su noi stessi”, significa pentirsi seriamente “riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito”, “ammettere di aver smarrito la via della santità”.

Sono lacrime differenti da quelle di chi si piange addosso, come spesso siamo tentati di fare. “Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte, magari dei confratelli e dei superiori”. “Oppure quando, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo”. 

Un cuore docile, “anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli piange per i loro peccati”. È una sorta di ribaltamento, in cui la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, inflessibili nella conversione di se stessi e misericordiosi con gli altri.

“Il Signore cerca specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento d’intercessione per tutti”. “Oggi, in una società secolare, corriamo il rischio di essere molto attivi e al tempo stesso di sentirci impotenti, col risultato di perdere l’entusiasmo ed essere tentati di “tirare i remi in barca”, di chiuderci nella lamentela e far prevalere la grandezza dei problemi sulla grandezza di Dio”.

Il pentimento è una grazia e come tale va chiesto nella preghiera per non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, ma nell’insieme del passato ricordando la fedeltà di Dio, facendo memoria del suo perdono e ancorandosi al suo amore e del futuro pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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