A chi non possiede la scienza della bontà ogni altra scienza è dannosa

La bontà non è un mestiere qualunque: richiede la dignità e la fedeltà nel prendersi cura degli altri.

Formazione.
Formazione.

“Impara l’arte di sbagliare e imparerai a vivere. Non preoccuparti se fai un sacco di errori. Preoccupati se ti sembra di non farne mai”. Questa è una delle tante sfide del lungo cammino dell’educazione della gioventù. È sempre difficile scoprire se dietro a quello che pensiamo di essere, è nascosta una persona che ancora non conosciamo. Nel cammino di formazione degli apostoli Gesù rivela, come nel caso di Pietro, che bisogna fare l’esperienza di scoprirsi insicuri e fragili ma sempre capaci di migliorare e crescere, di rinunciare alle aspettative di sicurezza: “le volpi hanno le loro tane…”; a relazioni strutturate e stabilii: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”; “Nessuno che ha messo mano all’aratro e si volta indietro è degno di me”; alla certezza di essere sempre i più forti e i migliori: “rimetti la spada nel fodero”. Quindi, niente rassicurazioni, niente ricerca di schemi o paranoie con il proprio io. Inoltre, ai nostri giorni, è necessario, per quanto riguarda l’educazione, un “ufficio per l’emergenza”, per captare la sofferenza che scaturisce dalla pandemia, riconoscerle un significato, integrarla in un progetto esistenziale, renderla un’opportunità di crescita. Il lavoro educativo nelle situazioni di emergenza si propone di sollecitare risposte a quello che viene chiamato il “terremoto dell’anima”, attivando una “prossimità samaritana” dallo stile evangelico, prendendoci cura gli uni degli altri.

Assistiamo, nel mondo intero, a continue accelerazioni di violenza. Pochi ricordano che “a chi non possiede la scienza della bontà ogni altra scienza è dannosa”. La bontà si fa strada nel cuore con un senso di pietà che abbraccia ogni creatura e che impedisce di far del male. La bontà non è un mestiere qualunque: richiede la dignità e la fedeltà nel prendersi cura degli altri. La violenza è nell’uomo sempre e da sempre, ma assume aspetti differenti di volta in volta. Oggi, la violenza è l’esaltazione del corpo che è il luogo dell’apparenza, della forza, della superiorità: Il corpo “bello” deve essere forte, muscoloso, palestrato, esibito con tatuaggi. E’ quasi scomparso il concetto di “è una bella persona”. Un uomo tutto muscoli, un “buttafuori” niente testa. Aumenta tra i bambini e i giovani la fatica di “crescere bene” in un mondo sregolato e complesso, in cui, come dice Papa Francesco, domina il denaro e l’uso della forza che ne deriva. La violenza incontrollata e ingiustificata è spesso legata a una vita di frustrazioni e di rabbia repressa e mai verbalizzata: “Date parole al dolore, il dolore che non parla sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi” (Shakespeare). Cristo è l’amore che serve, non comanda, attrae. Qualsiasi attività educativa perde il proprio vigore quando non è capace di slanciarsi apostolicamente verso le frontiere e di conseguenza, non è capace di assumere nel proprio seno le problematiche e le persone che ne provengono.

L’Enciclica “Fratelli tutti” non si limita a considerare la fraternità uno strumento o un auspicio, ma delinea una cultura della fraternità da applicare a tutti i tipi di rapporti. L’immagine è quella di un comportamento del quale viene sviluppato il metodo e l’obiettivo. Il dialogo come metodo, distrugge le barriere del cuore e della mente. L’assenza di dialogo permette ai rapporti di degenerare o di affidarsi al peso della forza, ai risultati della contrapposizione e della violenza. L’obiettivo come meta è la fraternità che ha una funzione essenziale nella costruzione di una convivenza civile, del rispetto e della bontà. La fratellanza universale è un’assoluta necessità per il mondo, é quella di quanti si mettono a servizio della costruzione di un popolo in cui la dignità di ciascuno sia rispettata, di una comunità in cui tutti siano non soltanto “soci”, tenuti insieme da interessi egoistici, ma siano veramente fratelli e sorelle. Come educatori Cavanis, nella missione educativa, non siamo chiamati a fare discorsi sui poveri e i giovani, a distinguerli in buoni e meno buoni, nostri o “stranieri”, cristiani o di altre religioni, ma di prodigarci con amore di totale umiltà, senza clamore e senza cercare riconoscimenti, gratuitamente. Nei “cieli nuovi e nella terra nuova” vince la debolezza dell’amore: “Il vero servizio dell’educazione è l’educazione al servizio” (PEG).

P. Diego Spadotto CSCh

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