Superare paure e indifferenza con l’ascolto dei giovani e “nella serena certezza che il tuo amore di Padre non abbandona mai chi si fida della tua Provvidenza”
Qualcuno, che si ritiene saggio, quasi una “colonna” che sostiene l’Istituto, continua a dire che la Congregazione è troppo piccola per pensare di continuare ad espandersi in altri Paesi e con nuove modalità di servizio ai giovani. Per me, sarebbe come dire che un bambino è troppo piccolo per pensare di diventare grande! In Congregazione, grazie a Dio, c’é lo spirito missionario e la voglia di crescita nei più giovani, quello che manca è un sogno, un progetto di crescita missionaria della Congregazione nella ricerca della santità dei suoi membri nel cercare nuove modalità di vivere il carisma nel contesto del mondo attuale. Si vive in stand-by, ripetendo il passato nel linguaggio e nel vissuto. Si sopravvive, senza offrire prospettive, risorse e sogni. Niente di niente. In questa situazione è inevitabile che ognuno si ritiri in se stesso, che cresca la paura di scomparire, che rinascano istinti primordiali contro chi tenta di aprire orizzonti. Ora, nella ripartenza dopo il coronavirus, si continua a cercare le proprie sicurezze del passato, restando ripiegati su se stessi, preoccupati che qualcuno ci porti via il posto. Coloro che pensano e agiscono così non sono egoisti, sono incapaci, che è peggio. Cosa faranno domani i nostri confratelli giovani e in nostri formandi se non presentiamo loro una prospettiva “in novità di spirito”? “Perduta è la congregazione che resta ferma”, (Papa Francesco).
Ma come? Intraprendendo un viaggio dentro noi stessi, dentro la nostra identità Cavanis, un viaggio che ci aiuta a vedere oltre l’immediato, oltre un presente che rischia di essere smemorato e timoroso. Un viaggio per imparare a non avere paura, a non chiuderci nella comodità dei piccoli mondi chiusi che ci impediscono di vedere la “povera figliolanza dispersa” in tutto il mondo. Solo cercando la luce della fede e l’esempio di coraggio dei Fondatori dentro l’oscurità che attraversiamo, si riesce a intravedere la verità delle cose e dove il Signore ci conduce. Ma l’accidia, malanno che dilaga nel mondo contemporaneo é stato derubricato dal libro dei vizi capitali. Accidia è perdita del senso della vita, rinuncia a operare, negligenza, tedio, menefreghismo in adorazione del proprio ego smisurato. È vita consacrata opportunista che ti fa dubitare della tua missione e ti spinge verso il vuoto, il rancore, l’irresponsabilità. Bisogna rompere il velo di ipocrisia che ci impedisce di vedere dentro noi stessi e ricordare che “Dio abita dove lo si lascia entrare” (Martin Buber). Ecco ciò che conta: lasciar entrare Dio, “nulla anteporre a Cristo” e instaurare un rapporto santo con la missione che ci è affidata e dove il Signore ci santifica come Cavanis.
Chi fa fruttificare la missione che ci è affidata è il Buon Pastore, gli altri che hanno ruoli e responsabilità sono semplicemente i “cani pastori” che corrono di qua e di là per difendere le pecore o per strafare. In missione sicut qui ministrat, come colui che serve in letizia e “In uscita” dove più si alza il grido di bisogno e la richiesta d’aiuto della gioventù. Quello che dobbiamo ai giovani e alle loro famiglie è soprattutto una sincera prossimità umana, una solidarietà fattiva che possa smontare alla radice il tarlo cattivo della disperazione. Siamo chiamati a ragionare sul senso smarrito di bene comune, sulla verità così spesso tradita da una comunicazione falsa e bugiarda, eccessiva e piena di ego smisurati. La superbia ci impedisce di capire i giovani: “Una Chiesa (congregazione) che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo” (CV 41). È evidente la profonda differenza tra una fede chiusa nella dottrina e una fede aperta al mondo. La prima vissuta come roccaforte e porto sicuro, con il rischio di ridursi a presunzione di verità e una seconda, vissuta come ricerca di verità anche come dubbio, non sull’esistenza di Dio, ma sul nostro testimoniare non solo a parole la sua Parola, nel segno di un Vangelo non soltanto predicato ma vissuto. Non arrendiamoci all’idea che l’unico destino che ci attende è quello di vivere come ciechi guidati da altri ciechi.
P. Diego Spadotto CSCh