- Meno percorsi tradizionali, ma domande più profonde. Mentre la comunità ecclesiale continua a offrire soprattutto percorsi di formazione standardizzati basati sull’iniziazione cristiana dei fanciulli a cui fanno seguito proposte di cammino di fede attraverso oratori, gruppi giovanili e aggregazioni laicali, che intercettano però una parte minoritaria di essi, i giovani sembrano non essere più interessati a quanto propone la comunità ecclesiale e non collegano più in modo diretto la loro esperienza di fede a quanto proposto dalla Chiesa, almeno nella sua prassi ordinaria.
- Ciò non significa che sia scomparso dal loro orizzonte esperienziale il tema della fede, piuttosto si sentono liberi di cercare un loro personale vissuto religioso più o meno intenso e profondo, ma anche sempre meno collegato ai percorsi tradizionali e istituzionali della comunità ecclesiale. Da qui la sintesi di una fede ‘a modo mio’ che i giovani sperimentano e modulano a prescindere dai cammini tradizionali, cercando esperienze forti, ambienti spirituali caldi e accoglienti, figure significative con cui confrontarsi in una ricerca spirituale, giungendo a sintesi personali che a volte risultano essere ‘cocktail spirituali’, magari accattivanti ma poco coerenti con la natura della fede cristiana. La domanda religiosa e la ricerca sul piano della fede non è del tutto assente.
- La loro fede se non si iscrive all’interno delle forme espressive tradizionali e non si manifesta molto all’esterno, ciò non toglie che sia profonda e ben più importante di quanto non dichiarino abitualmente. Quale fede vivono realmente i giovani? Chi può, e come, annunciare e testimoniare loro il Vangelo di Gesù Cristo? Ci sono esperienze significative e paradigmatiche di educatori capaci di incrociare le domande e la sensibilità di questi giovani per educarli alla fede? Come la Chiesa prepara oggi gli operatori pastorali che a diverso titolo e in vari modi sono inviati ad accompagnare ed educare i giovani nel loro cammino di fede? Non basta interrogare i giovani per capire quale sarà il futuro della fede, bisogna verificare cosa succede sul versante degli educatori.
- Ne scaturiscono singolari convergenze, reciproche illuminazioni, interessanti interazioni che ci consentono di comprendere l’inscindibile legame nel processo di trasmissione della fede tra l’esperienza vissuta dai giovani e la missione educativa della Chiesa. In piena sintonia con la domanda di relazioni autentiche dentro cui far crescere un’esperienza spirituale, anche gli educatori insistono molto sul fatto che il rapporto diretto, sincero e profondo è la via maestra e la condizione imprescindibile per poter dar vita ad una effettiva dinamica di carattere educativo.
- Nei giovani non suscitano alcun interesse le proposte di formazione religiosa tradizionali che assomigliano a lezioni dove la fede appare come un insieme di nozioni e di pratiche non capaci di toccare la vita e di riscaldare il cuore. Modificare le prassi e i modelli fino ad ora adottati non è semplice. Si coglie il desiderio sincero negli educatori di mettersi al passo con i giovani, condividendo con loro momenti e situazioni di vita. Tra le iniziative attuali ci sono i “cammini”, i “pellegrinaggi”, forme antiche ma oggi sentite dai giovani come corrispondente al bisogno di mettersi in gioco, di andare oltre i percorsi abituali, per fare esperienze nuove e misurarsi, più che con una meta geografica, con una proposta spirituale incarnata dalla meta, dai compagni di viaggio, dalle tappe del cammino stesso. Gli educatori vedono nello ‘stare vicino’ e nel ‘camminare insieme’ i presupposti per una rigenerazione spirituale dei giovani, una ‘esperienza generativa’, che si innesca quando i giovani scoprono che l’incontro con Gesù e la partecipazione alla vita della comunità ecclesiale sono la risposta adeguata alla loro ricerca di una vita pienamente realizzata.
- Quando il percorso educativo nasce dal cuore di chi si prende cura dei giovani e tocca il loro cuore si assiste davvero al miracolo della rinascita umana e spirituale. Colpisce tanto più quanto maggiore è la situazione di aridità e di sterilità spirituale che spesso oggi accompagna la vita delle famiglie e delle comunità ecclesiali. Quello della ‘generatività’ va a cogliere una questione antropologica fondamentale su cui si stanno moltiplicando studi e ricerche di grande interesse anche dal punto di vista culturale, sociale e spirituale, nella consapevolezza che davvero su questa capacità generativa e rigenerativa si gioca non solo il futuro dei giovani, ma quello dell’intera umanità.
- Ai giovani la fede cristiana non interessa ai giovani, se presentata come una dimensione da collocare tra le pratiche che possono riempire il tempo libero, perché non c’è più corrispondenza tra il linguaggio creato dall’annuncio del Vangelo e quello invece acceso dalle attese antropologiche che animano i giovani di oggi. Noi parliamo di Dio, del Dio di Gesù Cristo. Il nostro discorso può essere anche accattivante… il problema è che non ha audience, non intercetta le domande e le attese sulle quali sono sintonizzati i giovani.
- Tre esempi ci aiutano a comprendere questa frattura in atto. Primo dato: la fede cristiana annuncia una salvezza che vede il presente come una sorta di grande preparazione alla vita dopo la morte; secondo: il cristianesimo annuncia il volto di un Dio che in Gesù Cristo suo Figlio ci redime dal peccato, ci purifica dal male; terzo: il cristianesimo annuncia un’esperienza di fede che è sociale, esperienza di raccolta dei popoli che abbatte muri e apre all’universale; i giovani invece si aspettano dalla dimensione religiosa un aiuto per impostare un presente che ai loro occhi è precario e incapace di rispondere alla domanda di felicità che li brucia dentro. Si aspettano dall’esperienza religiosa sicurezza, confini e perimetri, possibilità di difesa e di identificazione.
- Abbiamo bisogno di un Capitolo vivo per evitare che la rottura con i giovani sia l’ultima parola. E non soltanto in senso metaforico: una istituzione che fatica a dialogare con le giovani generazioni fatica di conseguenza a costruire il proprio futuro. Le fratture create non sono l’ultima parola; lasciano spazi alla possibilità di declinare la fede e l’esperienza cristiana in nuove strade, anche dentro la cultura che le rivoluzioni scientifiche e il mondo digitale stanno sempre più trasformando.
- Il futuro della fede dipende proprio da questa attitudine: dalla capacità che la Congregazione ha di sorvegliare e riorientare i processi di decostruzione e di ricostruzione che la cultura in cui abitiamo impone alla nostra fede, alla sua figura istituita. Si tratta in altre parole di svolgere anche nel presente quel compito che i padri conciliari cominciarono ad avviare durante il Concilio Vaticano II: rileggere la tradizione ecclesiale alla luce del contesto odierno, per permettere ai tratti salienti e profondi dell’esperienza cristiana di brillare di nuova luce, proprio perché ridetti con linguaggi nuovi dentro la nuova cultura. L’esperienza cristiana è frutto di un processo di continua consegna, ricezione e annuncio della memoria fondatrice. Il frutto di questo processo non è un prodotto ulteriore, un nuovo documento, ma un corpo nuovo, che con la sua presenza e la sua vitalità testimonia l’avvenuto processo di: Sentire, raccontare, generare.
- La Congregazione ha bisogno che la sfida che stiamo vivendo oggi dentro il mondo dei giovani sia percepita e assunta come una esperienza di rigenerazione. Non quindi una sfida che ci vede contrapposti ai giovani, ma una sfida che ci vede alleati con loro: per coinvolgerli in questo processo di scrittura, per riaccendere questo dinamismo di consegna, ricezione e annuncio.