Pensieri di Papa Francesco a riguardo del cammino di autoformazione permanente adattati alla nostra realtà Cavanis

Nel giubileo della prima missione Cavanis fuori dall’Italia Dio ci fonda come nuovamente Cavanis.

Nel giubileo della prima missione Cavanis fuori dall’Italia Dio ci fonda come nuovamente Cavanis. È un momento di grazia per fare memoria e rinnovare l’appartenenza alla Chiesa, nella Congregazione. Fare memoria vuol dire fondarsi nuovamente in Gesù, nella sua vita.

Significa ribadire un “no” chiaro alla tentazione di vivere per sé stessi; riaffermare che, come Gesù, esistiamo per il Padre (cfr Gv 6,57); che, come Gesù, dobbiamo vivere per servire, non per essere serviti (cfr Mc 10,45). Fare memoria è ripetere con l’intelligenza e la volontà che alla vita del Cavanis basta la Pasqua del Signore. Non serve altro.

Formarsi è anzitutto fondarsiVi consiglio la meditazione del tema del servizio per essere e imitare Gesù, che svuotò sé stesso, si annientò o obbedì fino alla morte, alle calunnie, persecuzioni, umiliazioni. Questo è il criterio, imitare Gesù. Come Lui, su quella strada che Paolo ci dice in Filippesi 2,7, e non avere paura, perché è una beatitudine: “Beati sarete quando diranno cose brutte di voi, vi calunnieranno, vi perseguiteranno…”. 

Questa è la nostra strada: fare questa meditazione con il cuore e dare tutta la vita con convinzione, per essere ben radicati in Lui. In tal modo, non c’è avversità a cui non si possa essere preparati. Fondatevi sulle origini. È la grazia dei “primi tempi”, la grazia del fondamento.

Formarsi è crescere. Siamo chiamati a crescere, affondando le radici. La pianta cresce dalle radici, che non si vedono ma sostengono l’insieme.

E smette di dare frutto non quando ha pochi rami, ma quando si seccano le radici. Avere radici è avere un cuore ben innestato, che in Dio è capace di dilatarsi. A Dio, semper maior, si risponde con la vita, con entusiasmo limpido, con quella tensione positiva, sempre crescente, che dice “no” ad ogni accomodamento.

È il «guai a me se non annuncio il Vangelo» dell’Apostolo Paolo (1 Cor 9,16), ad essere frecce appuntite nelle membra addormentate della Chiesa. Il cuore, se non si dilata, si atrofizza. Non dimenticatevi questo. Se non si cresce, si appassisce. Non c’è crescita senza crisi, come non c’è frutto senza potatura né vittoria senza lotta. Crescere, mettere radici significa lottare senza tregua contro ogni mondanità spirituale, che è il male peggiore che ci può accadere. Se la mondanità intacca le radici, addio frutti e addio pianta.

È il pericolo più forte in questo tempo: la mondanità spirituale, che porta al clericalismo. Se la crescita è un costante agire contro il proprio ego, ci sarà molto frutto. Lo spirito nemico non si arrenderà nel tentarci a cercare le nostre “consolazioni”, insinuando che si vive meglio se si ha ciò che si vuole, lo Spirito amico ci incoraggerà soavemente nel bene, a crescere in una docilità umile, andando avanti, senza insoddisfazioni, con la serenità che viene da Dio.

Formarsi é maturare. Non si matura nelle radici e nel tronco, ma nei frutti, che fecondano la terra di semi nuovi. È la missione, il porsi a tu per tu con le situazioni di oggi, il prendersi cura del mondo che Dio ama. A questa missione contribuiscono la passione e la disciplina negli studi e nell’apostolato, sempre vicini alle sofferenze del popolo di Dio. Portatele davanti al Crocifisso e nell’Eucaristia, dove si attinge l’amore paziente, che sa abbracciare i crocifissi di ogni tempo. Così maturano pure la pazienza e la speranza, sono gemelle: crescono insieme. Non abbiate paura di piangere a contatto con situazioni dure: sono gocce che irrigano la vita, la rendono docile. Le lacrime di compassione purificano il cuore e gli affetti.

Libertà e l’obbedienza: due virtù che avanzano se camminano insieme. La libertà è essenziale, perché «dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà» (2 Cor 3,17).

Lo Spirito di Dio liberamente parla a ciascuno attraverso sentimenti e pensieri; non può essere rinchiuso in tabelle, ma va accolto col cuore, in cammino, da figli liberi, non da servi. Figli liberi che, uniti nelle diversità, lottano ogni giorno per conquistare la libertà più grande: quella da sé stessi. E la libertà cammina con l’obbedienza: come per Gesù, anche per noi il cibo della vita è fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34).

Liberi e obbedienti, sull’esempio dei Fondatori, miti e decisi al tempo stesso, in una Chiesa “in uscita”. La libertà e l’obbedienza danno vita a un modo di agire creativo con i Superiori e a fare unità con confratelli che non sono tanto pecore miti, ma “rospi”. La garanzia di questo legame di unità, è l’esame di coscienza e l’autocritica che assicurano la possibilità ai Superiori di reggere il “gregge di rospi”, di portarlo ad un’armonia differente.

Non si tratta solo di capirsi e volersi bene, magari a volte di sopportarsi, ma di portare i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2). E non solo i pesi delle reciproche fragilità, ma delle diverse storie, culture, delle memorie dei popoli.

P. Diego Spadotto, CSCh

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