Il rischio di una fede parcheggiata”

Il rischio di una fede parcheggiata, secondo papa Francesco, è quello di ritenersi discepoli “per bene”, ma in realtà non si segue Gesù, si è fermi, passivi, assopiti.

Il rischio di una fede parcheggiata, secondo papa Francesco, è quello di ritenersi discepoli “per bene”, ma in realtà non si segue Gesù, si è fermi, passivi, assopiti. Per i seguaci Gesù, “non è questo il tempo di dormire, di lasciarsi narcotizzare l’anima, di farsi anestetizzare dal clima consumistico e individualistico di oggi, per cui la vita va bene se va bene a me; per cui si parla e si teorizza, ma si perde di vista la carne dei fratelli, la concretezza del Vangelo”.

Il dramma della nostra vita religiosa è quello di chiudere gli occhi sulla realtà, girarsi dall’altra parte, “parcheggiare”, limitarsi, per esempio, a una vita di preghiera comunitaria formale, senza aggancio con la realtà e le sofferenze dei giovani e dei poveri, da portare al cuore del Signore. La forza dell’abitudine e una certa ritualità ci hanno portati a credere che nemmeno la preghiera trasformi l’uomo e la storia, si può tralasciare spesso e volentieri. Invece, pregare con fede viva trasforma la realtà, è missione attiva, è cambiamento del mondo. “Ci farà bene domandarci se il nostro pregare ci immerge in questa trasformazione; se getta una luce nuova sulle persone e trasfigura le situazioni. Lo spirito di preghiera ci “scardina dentro”, ravviva il fuoco della missione, riaccende la gioia, provoca continuamente a lasciarci inquietare dal grido sofferente del mondo”. 

“La fede senza le opere è morta”, e lo spirito di preghiera di fede è la prima opera. Gesù prega con abbandono fiducioso nel Padre; vive la preghiera con la certezza di essere esaudito; loda e benedice il Padre con profonda riverenza; prega per sé e per poter portare a termine la sua missione; prega per i discepoli, prega per noi: “prego per quelli che per la parola dei discepoli crederanno in me”. Gesù prega e insegna a pregare, effonde gioia, fiducia, sicurezza, serenità. Noi siamo troppo tentati di lasciarci frammentare dalla quotidianità: facciamo una cosa, poi ne facciamo un’altra, magari cose buone, però banali e ripetitive, e ci lasciamo sbriciolare, logorare dalla piccolezza quotidiana. Lo spirito di preghiera dello stare in silenzio davanti all’Eucaristia e di “offrire i vostri corpi come sacrificio vivente”, è santo egradito a Dio. “É questo il nostro culto spirituale” (Rm 12,1).

Questo culto spirituale verso Dio è anche accettazione del nostro limite creaturale e quello degli altri. É grazia dello Spirito Santo che aiuta a vivere in pace con i propri dilemmi e con gioia pasquale nel cuore. Nella vita apostolica si dice che spesso è difficile trovare il tempo per pregare. Il tempo è un dono che bisogna imparare ad amministrare non può essere il tempo che ci “governa”, quello che “non passa mai” o quello che “non basta mai”. 

Gesù, ha affrontato contrasti, finzioni, adesioni superficiali al suo messaggio. Secondo il vangelo di Giovanni Gesù sa “quello che c’è in ogni uomo”. Nei Sinottici (Mt 15, 10-20 – Mc 7, 20-21) si trova un   elenco di quanto Gesù incontra nel cuore umano. C’è una sorta di ordine: prima i peccati più visibili, seguono quattro atteggiamenti interiori pure gravi. Infine quattro vizi: invidia, calunnia, superbia, stoltezza.

Nessuno dica: “queste cose non mi riguardano”. Meglio accogliere l’invito di Paolo: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente” (Rm 12, 2). Rinnovare la mente vuol dire vedere la realtà nell’ottica della fede; iniziare un processo di trasformazione morale, cioè i costumi, le attitudini, gli atteggiamenti, i sentimenti; aprirsi alla trasformazione che Gesù opera in noi attraverso la sua grazia; infine, accogliere la trasformazione dello stile di vita secondo l’etica delle Beatitudini.

Siamo un microcosmo di personaggi che hanno sentimenti diversi, spesso violenti; agiscono l’uno contro l’altro e l’uno insieme all’altro in uno scatenamento di invidie, intolleranza, slealtà, connivenze, piccole menzogne, sofismi con cui riempiamo le nostre giornate di preoccupazioni, ansietà, turbamenti, per combattere la tristezza, lo sconforto e l’amarezza del nostro cuore. La radice di tutto questo è la mancanza di accoglienza della dimensione della gratuità, l’attaccamento al denaro, l’autoreferenzialità. La vita religiosa, invece, dovrebbe essere sotto il segno della gratuità e della letizia. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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