Il tempo é più importante dello spazio

Ogni chiamata non invita solo a “uscire dalla propria terra” ma a “mettersi in cammino”, accettando di cambiare, di crescere, di sfidare l’incognito e assumere responsabilità.

Fra le impietose statistiche sulla situazione vocazionale in Congregazione spicca il crescente divario tra le “entrate” e le “uscite” e il divario tra i pochissimi religiosi che si dedicano con cuore Cavanis ai bambini e ragazzi e quelli che sembrano funzionari di un’organizzazione umanitaria.

Appare necessario che si avvii, da parte di tutti, una seria riflessione su questa situazione complessa e preoccupante. I tentativi fatti per affrontare la questione sono legati all’aumento di trasferimenti, in Nazioni e culture differenti, di confratelli giovani che non hanno preparazione per gestire opere complesse e nemmeno per collaborare pastoralmente con disponibilità veramente missionaria di conversione e inculturazione. Sembra si continui a cucire pezzi di stoffa nuova su un vestito vecchio.

Questi tentativi di tamponare il declino delle opere, va contro il buon senso, ci si dimentica che il “tempo” è più importante dello “spazio”. Il tempo che passa inesorabile, dimostra che per l’oggi della Congregazione ci si deve guardare dalla tentazione “di lasciare le cose come stanno” per timore di “perdere privilegi e convenienze” come pure dalla tentazione di continuare a contare le “opere” cercando di trascinarle avanti a tutti i costi, nella mediocrità e nell’incoerenza. Il tempo non perdona quando si perde la propria identità carismatica. 

Ogni chiamata non invita solo a “uscire dalla propria terra” ma a “mettersi in cammino”, accettando di cambiare, di crescere, di sfidare l’incognito e assumere responsabilità. Questo non sempre avviene, perché chi è “chiamato” vuol “uscire dalla propria terra” solo con un suo programma di vita, i suoi schemi bene definiti, i suoi progetti. Ma, la chiamata del Signore è sempre, come per Abramo, a “essere ciò che ancora non si è, a ridefinirsi, non più in base alla propria terra e al proprio padre”. Lungo il cammino di formazione, il Signore conferisce la forza e la capacità di rispondere a “quelli che lui chiama”, solo se si muovono nella fiducia radicale e imparano a riconoscere la presenza del Signore negli avvenimenti, anche i più complessi.

Nella vita di quelli che “il Signore chiama” esistono due livelli di lettura degli avvenimenti: uno contingente e uno trascendente. Spesso il primo sembra negare il secondo. I due livelli interagiscono, ma non vanno posti in “corto circuito” attraverso un semplicistico discernimento. In altre parole, un evento negativo nel piano della contingenza non può essere considerato affrettatamente come segno che qualche scelta fatta è sbagliata, e un evento positivo non puo’ essere automaticamente ritenuto come approvazione delle scelte fatte. Così si capirà il senso delle richieste radicali fatte dal Signore. 

“Se vogliamo essere pastori, non possiamo restare neutrali dinanzi al dolore provocato dalle ingiustizie e dalle violenze; siamo pastori, non capi tribù” (Papa Francesco).

Pastori compassionevoli e misericordiosi, non padroni, servi che si chinano a lavare i piedi dei fratelli, non un’organizzazione mondana che amministra beni terreni, ma comunità di figli di Dio. Religiosi consacrati, spogli di ogni presunzione umana, non delusi, astiosi e pungenti, non disincantati e consunti dall’età, dismessi come un vestito vecchio e logoro. Il nostro primo dovere non è quello di essere una Congregazione perfettamente organizzata, ma una congregazione che, in nome di Cristo, sta in mezzo alla vita sofferta della gioventù. Mai dobbiamo esercitare il ministero inseguendo il prestigio religioso e sociale ma camminando in mezzo e insieme ai giovani, imparando ad ascoltare e a dialogare.

A volte può capitare anche nella nostra vita di consacrati: pensiamo di essere noi il centro, di poter fidarci, se non in teoria almeno in pratica, quasi esclusivamente alla nostra bravura, di trovare la risposta ai bisogni del popolo attraverso strumenti umani, come il denaro, la furbizia, il potere.

A noi Cavanis è richiesto di sviluppare proprio l’arte di “camminare con i giovani” come hanno fatto i Fondatori. Il nostro primo dovere non è quello di avere successo ma di stare in nome di Cristo, in mezzo alla vita sofferta dei bambini e dei giovani. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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