Come posso io da solo portale il vostro peso

Nella vita di ognuno di noi, c’è stato un tempo di formazione, chiamato il tempo dei “metodi”. Si impara a fare qualcosa, a studiare, a esprimersi, a lavorare, ecc.

Formazione.
Formazione.

Come posso io da solo portale il vostro peso, il vostro carico e le vostre liti?

In questo tempo di pandemia, i superiori nella vita religiosa si sentono come Mosè e si sfogano con il Signore: “come posso io da solo portare il vostro peso, il vostro carico e le vostre liti” (Dt 1,9-12). Questo lo dice, solitamente, chi ha la presunzione di essere protagonista in tutto e conoscitore della realtà, quando comincia a sentirsi impotente. Non percepisce che la realtà è molto più complessa di quella che dice di conoscere e i condizionamenti personali sono tanti. Forse non li aveva mai avvertiti chiaramente come ora, si sente immobilizzati nelle sue molteplici attività, per le conseguenze del virus. Scattano condizionamenti che fanno dire e fare cose che non ha mai pensato di dire o di fare, e si scopre frustrato e scoraggiato. Una via d’uscita c’è: ammettere il disagio, comunicarlo alla comunità e guardare alle sofferenze degli altri, come ha fatto Gesù:“ vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli…(Mt 9,35-10,1)”, accettare di dare “da mangiare alle folle, inviato in missione non in quanto è quello che piace e che si é programmato, ma in quanto è una missione che il Signore affida a lui e alle sua comunità in questa emergenza. È difficile accettare l’incognita di Dio e decidere di lasciarsi salvare e preparare da lui per i servizi che lui ritiene buoni: i servizi dell’acqua e del pane, della Parola, della responsabilità, della preghiera e della consolazione.

Nella vita di ognuno di noi, c’è stato un tempo di formazione, chiamato il tempo dei “metodi”. Si impara a fare qualcosa, a studiare, a esprimersi, a lavorare, ecc. Ci facciamo una certa idea di come realizzare le cose e lo dimostriamo con le critiche che facciamo agli altri dicendo: “io avrei fatto così”. Tutti passiamo per questo tempo dei “metodi”, si pensa di aver imparato molte cose, e la realtà finisce per coincidere con il nostro “metodo”. Ma la realtà è un’altra cosa: “noi entriamo in contatto non con la realtà così com’è, ma con le immagini che ci siamo fatti della realtà attraverso le ideologie, i metodi, le nozioni, che abbiamo apprese o che ci siamo immaginati”. In pratica si fugge dalla vera realtà. La percezione della realtà e l’esperienza sono sempre parziali. Di qui la rabbia o la delusione, quando si constata uno scarto tra la realtà e ciò che si credeva di aver imparato. Le realtà personali sono tante quante sono le teste. Nella vita consacrata “si va avanti a traino fino a quando non si capisce che non siamo noi che ci interessiamo delle cose di Dio ma è Dio che è interessato a noi per metterci a servizio del suo popolo come e dove lui vuole”. Allora, come Mosé, conviene dire davanti al roveto che brucia e non si consuma, “voglio capire”, ascoltare Dio che dice: “Ho visto, ho sentito, conosco, sono sceso… per liberare il mio popolo”. È il Signore che salva, non il nostro protagonismo.

Lo sbaglio è quello di voler fare i protagonisti a tutti i costi, escludendo il Signore e la comunità. Il mondo è pieno di matti che sono “scientificamente” certi dell’evidenza delle loro idee. Sono “proprietari” di opere e attività, perpetuandosi protagonisti, magari considerando questo come“virtù”. Complicano la vita di quelli che, presto o tardi, dovranno sostituirli e complicano anche la loro vita quando devono sostituire altri e iniziano cancellando la memoriadi quanto altri hanno realizzato. Non essendo liberi da se stessi, dalle loro ambizioni e paure, cadono in un errori fatali: “idealizzano la gente e i giovani più che viverci insieme e ascoltarli nella loro realtà e la comunità non é più il luogo del discernimento e della comunione, proprio di persone ricche in umanità e solidarietà”. Le prime preoccupazioni dovrebbero invece essere: la disponibilità interiore a spogliarsi della propria presunta sicurezza e disporsi ad imparare, farsi servi e non maestri e padroni; non chiedersi “cosa faccio?” ma “è il Signore che mi invia a prendermi cura dei fratelli e di tanti giovani e ragazzi, cuore e ragione della presenza Cavanis in questo luogo”. Sempre “cantando in coro”, mai come solisti stonati che rovinano l’armonia e l’efficacia dell’evangelizzazione, con la pretesa di essere quelli che rimettono in piedi “pazienti già morti”.

P. Diego Spadotto CSCh

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