Entrare nel cammino sinodale, con sincero desiderio di migliorare la propria risposta vocazionale nella vita consacrata, vuol dire prepararsi a “lottare con l’Angelo del Signore” (Gn 32), accettare di rimanere “feriti”, per prendere coscienza e vergognarsi di essere stati mediocri e finti con il Signore e con i fratelli, come Giacobbe con il fratello Esaù. Giacobbe, era un uomo apparentemente sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza.
Anche la vita consacrata, furbescamente tenta mascherare il vuoto enorme di spiritualità con pennellate di sicurezza mondana. Giacobbe, deve misurarsi con l’angelo del Signore, uscirne ferito e ridimensionato per incontrare il fratello Esaù che aveva defraudato, e umiliarsi davanti a lui. Nel cammino sinodale, ogni religioso deve combattere con Dio come Giacobbe, ridimensionare il proprio ego e riconciliarsi con i fratelli defraudati. É un momento provvidenziale di grazia per non continuare paralizzati per altri “trent’otto anni” come il paralitico (Gv 5, 1-16), dando colpa agli altri, alla congregazione, senza avere il coraggio di domandarsi il perché della paralisi spirituale in cui si vive.
Ora , ognuno, riveda le “risposte corrette” date ai formatori e ai superiori durante la formazione, che hanno permesso di superare esami e ammissioni, e abbia il coraggio di farsi le “domande corrette” sul perché del suo stato di paralisi: “Per CHI sono entrato nella vita religiosa?” I voti che ho fatto sono per me cammino di libertà?
“Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” (Mt 5, 7), la reciprocità della misericordia indica che abbiamo bisogno di rovesciare la prospettiva. I mali del nostro mondo, quelli della vita religiosa e dei confratelli, sono diventati scuse, per alcuni religiosi, per criticare senza misericordia la Congregazione, allontanarsi dalla vita di comunità e dall’impegno per il carisma.
Per altri sono diventati pretesto per chiudersi in se stessi e rinunciare alle sfide, a crescere e perseverare. L’amore di Dio, che prende con passione tutta la vita, “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5, 5). Se manca questa esperienza dello Spirito Santo, prevale individualismo, mondanità, lamentele. Si finisce per lasciare tutto, prendendo decisioni immature, che presto saranno motivo di pentimento.
L’energia, i sogni e l’entusiasmo della giovinezza si affievoliscono quando non si é mossi dallo Spirito Santo, e dalla passione per il Regno di Dio. Si ruminano sentimenti feriti, non si pensa più alla “povera gioventù dispersa”, ma solo ad accumulare “comodità materiali”, e ad alimentare i vizi legati al corpo, al cibo, al vestito, all’auto compiacenza e autoreferenzialità narcisista. “Schizofrenia esistenziale” (Francesco), “si vantano di ciò che dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra” (Fil 3, 18-19)
Ci sono poi dei religiosi che si sentono forti, grandi, furbi come Giacobbe, e vivono una vita religiosa di apparenza e finzioni. Si fanno forti del loro ruolo, ma sono sconfitti proprio dai più deboli, dai bambini che dicono loro: “anche se comandi e parli bene, noi da te non abbiamo niente da imparare, perché sei incoerente”. I giovani, apprezzano chi affronta la vita quotidiana con tutte le sue esigenze banali di dedizione, pazienza, perseveranza e sacrifici, umilmente, senza cercare applausi, senza grandi gesti eroici, con eroismo quotidiano invisibile agli altri.
Nel cammino sinodale per recuperare credibilità è fondamentale ripensare al: “non voi avete scelto me ma io ho scelto voi” e rivedere la sincerità e maturità della nostra risposta e delle scelte che abbiamo fatto. Scelte immature o false dividono e frantumano la vita personale e comunitaria, sono “fermento dei farisei”.
Nel camino sinodale i formatori e i superiori rivedano i criteri di scelta e ammissione dei candidati alla vita religiosa e al sacerdozio, per non fare scelte infelici legate alla sopravvivenza delle opere, alle scadenze formative o al semplice curriculum accademico. Questo tipo di scelte provoca solo sofferenza e delusioni enormi. Una solida e comprovata spiritualità e un’umile esperienza del carisma, sono garanzie migliori di perseveranza e spengono sul nascere nei candidati i pensieri ingenui e i sogni vani “l’erba là fuori è migliore”, finché non si scopre che è sintetica.
P. Diego Spadotto, CSCh