In onore di P. Antonio Angelo Cavanis

Passione per Cristo e passione per tanta povera gioventù dispersa.

P. Antonio Angelo Cavanis.
P. Antonio Angelo Cavanis.

I venerabili Antonio e Marco Cavanis

PASSIONE PER CRISTO E PASSIONE PER TANTA POVERA GIOVENTÙ DISPERSA

Nella lettera che il Papa Giovanni Paolo II scrisse nell’anno 2002 alla Congregazione delle Scuole di Carità, in occasione del Bicentenario di fondazione, così si esprimeva: “È perciò quanto mai necessaria la vostra opera di educatori soprattutto quando è sostenuta da quella tipica spiritualità che animò o Fondatori e li fece testimoni coraggiosi della carità di Cristo… la grande passione per l’educazione integrale della persona deve animare la vostra missione, passione animata unicamente dallo spirito di carità… considerando la gioventù bella come la speranza e preziosa come il Sangue di Cristo”. Antonio e Marco Cavanis chiamano la ‘passione’ per l’educazione cristiana della gioventù di “carità” o “carità apostolica”. Per vivere questa passione, imitando Gesù “buon samaritano”, lasciano la loro casa e per le calli e i “campielli” di Venezia cercano bambini ed adolescenti per riunirli, orientarli, educarli. Sono usciti “fuori” della loro casa e delle loro comodità e si sono mescolati a bambini e adolescenti e a “tanta povera gioventù dispersa”.

La carità appassionata e compassionevole è qualcosa di profondo, legato all’esperienza di presenza e di “prossimità” alla gioventù. Questo stare con i giovani smaschera chi vive di sole esperienze puramente “virtuali”. I Fondatori sono stati, nella missione che il Signore ha affidato loro, persone innamorate, compassionevoli, realiste. Sono vissuti “appassionatamente” per animare la speranza , costruendo e ricostruendo i ponti delle relazioni sociali, familiari, religiose, a qualsiasi livello, rendendo visibile l’invisibile passione di Dio Padre per l’umanità. Passione è qualcosa di legato al “vedere, udire, toccare”: “Quello che abbiamo visto, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo toccato del Verbo di Vita questo testimoniamo”. Senza passione non c’è testimonianza. È qualcosa di legato alla “fame e sete di Dio”, alla “fame e sete di anime”. La passione per Dio alimenta la passione per l’umanità e nei Cavanis per la “povera

gioventù dispersa”. Se non c’è dentro il cuore dell’uomo passione per il Cristo, probabilmente la nostra “religione” è come quella del sacerdote e del levita della parabola evangelica che… “hanno tirato dritto” davanti all’uomo ferito a morte. Padre Antonio e Padre Marco Cavanis … non hanno tirato dritto…

Non potevano perché avevano in cuore gli stessi sentimenti del cuore di Cristo. Quando Dio “basta” come diceva Santa Teresa d’Avila, Lui lascia nel cuore dell’uomo tutto il posto per il “prossimo”: 

“Oh Diós mio!
Cuántos bienes terrestres
Me hayas reservado,
Dáselos a tus enemigos.
Y todo lo que me has reservado
En el outro mundo,
Dáselo a tus amigos.
Porque a mi
Tu me bastas.

P. Antonio Angelo Cavanis: sperare contro ogni speranza

Venezia, fine 1700. La situazione politica, economica, culturale e morale della gloriosa Repubblica di San Marco è allo sbando: l’aristocrazia e i ceti popolari, la città e l’entroterra sono finiti e sfiniti. La città agonizza e in vent’anni passerà da 145 mila abitanti a soli centomila; i poveri o meglio la “feccia della plebe”, come ricordava nel 1821 il Patriarca Pikler, erano nella sola città circa quaranta mila. I governanti di turno, francesi, austriaci, veneziani, annaspavano, dicevano qualche “verità” sulla situazione di Venezia semplicemente perché erano a corto di bugie e non era sufficiente per loro, come si diceva allora “voler cambiare il mondo… volevano perfino cambiare la Verità”. “L’educazione pubblica non conta un secolo più infelice di questo” diceva una Ordinanza del Governo Provvisorio del 1797, e dire che la “feccia della plebe” non poteva frequentare nemmeno le scuole di istruzione pubblica. Il clero diocesano di Venezia in quell’epoca è definito dal Patriarca Ludovico Flangini, nella sua lettera pastorale del 1802, come “pigro, ignorante, disorientato”, e indicava la depravazione e la sfrenata licenza come frutti funesti “dell’iniquità fondata sull’autorità”. Lo stesso Patriarca lodando l’opera dei religiosi Filippini e l’iniziativa delle missioni popolari nelle parrocchie, che cominciavano a dare buoni frutti, diceva che per la ricostruzione morale della città era “urgentissima opera l’educazione della gioventù”.

È in questo contesto che i giovani Antonio e Marco Cavanis, sperando contro ogni speranza, sono mossi dallo Spirito a “fare la loro parte” in quella particolare situazione di Venezia in quella Chiesa locale, a guardare in faccia la realtà, a non aspettare inerti che succeda qualcosa di peggio. Iniziano, allora, nella parrocchia di Sant’Agnese, il 2 maggio 1802, con 9 giovani, tra i quali Marco Cavanis, ancora laico, una piccola Congregazione Mariana “per una riforma de’ lor costumi…destando un affettuoso attaccamento alla soavità della Parola di Dio” (EM, vol. I, pag. 266).

“Dio vede e provvede”, dice la Bibbia; Dio vede e provvede ripete, con fede, il popolo cristiano. Dio vedeva le necessità della gioventù più povera, attraverso gli occhi limpidi di P. Antonio e Dio provvedeva attraverso le mani operose di P. Marco. Dio si fece, allora, madre amorosa nelle mille attenzioni materne e nella saggezza educativa del P. Antonio; Dio provvedeva nella lucidità e nel coraggio del discernimento e dell’azione del P. Marco. Nel grande albero che dà frutti che durano, secondo l’immagine evangelica, il P. Marco è la visibilità dei frutti, P. Antonio, invece, è la profondità e la solidità delle radici nascoste. Scaviamo in profondità nella speranza di scoprire il tesoro di santità di queste radici nascoste: P. Antonio Angelo Cavanis.

La speranza cristiana è feconda

Sotto il segno della speranza cristiana e con una visione che si farà sempre più chiara col passar del tempo, P. Antonio inizierà e continuerà, per cinquant’anni, un’opera educativa globale che raggiunse il corpo, la mente e soprattutto il cuore dei giovani, visti e sentiti paternamente e maternamente, come “figlioli”, fin dall’inizio dell’opera. La sua azione educativa si strutturerà un po’ alla volta secondo queste linee maestre: esemplarità di vita, visione positiva della missione educativa, “amorosa sopravveglianza”; autoritas paterna, che si manifesta come competenza nell’insegnamento, autonomia didattica e istituzionale, forte spirito di evangelizzazione; difesa illuminata e sicura dei giovani “dal mondo godereccio e sfrenato”; carità gratuita e perfetta che diventa amicizia, “massima cura”, infine attenzione gioiosa che conquista i giovani, nonostante, a volte, “la loro scarsa adesione spontanea al progetto educativo”, davanti a delle proposte cristiane molto esigenti; Queste le linee maestre che fanno diventare feconde la speranza e la fiducia di P. Antonio, sono ancorate fermamente in Dio Padre e, nello stesso tempo, “nell’indole e nelle tendenze” della così detta “feccia della plebe”. I santi sanno che niente è impossibile a Dio, ci credono e ci sperano appassionatamente.

P. Antonio, inizialmente con “timore e tremore” ma anche con profonda umiltà decide di donare la sua vita in una perseverante azione educativa fatta: inizialmente, di semplice e sollecita presenza con i ragazzi; in seguito, una volta conquistata la fiducia, gioiosamente, “regala” loro le ali dell’istruzione della mente e dell’educazione del cuore; infine, quando hanno finalmente imparato a volare, li lascia partire perché siano nel mondo “buoni cristiani e ottimi cittadini” ma mantiene i contatti con inviti amorosi per fare annualmente i “santi esercizi spirituali” e per partecipare dell’opera che è come “una famiglia”.

La speranza cristiana ha le sue radici nella Parola di Dio

P. Antonio regala così a tutti, indistintamente, il respiro di una vita degna, il gusto di sentirsi amati e valorizzati come figli di Dio, un bagaglio cristiano di valori e la possibilità di costruire con le proprie mani il futuro. Portando anche la croce di una penosa malattia, P. Antonio, letteralmente, si immola per l’educazione

della gioventù, con presenza discreta ed efficace di padre più che di maestro, gratuitamente, senza esigere niente in cambio, senza ostentare, “senza cercare il proprio interesse”, come ammonisce San Paolo. Il suo stile autorevole di presenza paterna e materna non lo improvvisa, non lo dà per acquisito, ma lo alimenta ogni giorno con “la vita nascosta con Cristo in Dio” e nella severità di un’ascesi spirituale che richiede principalmente “vigilanza, sollecitudine, pazienza, speranza di frutto e orazione, amore alla Parola di Dio”. Quell’ “affettuoso attaccamento alla soavità della Parola di Dio” che P. Antonio giovanissimo sacerdote e direttore della Congregazione Mariana della parrocchia di Sant’Agnese in Venezia collocava come meta per i giovani della stessa Congregazione era e lo sarà per sempre il suo stile di vita.

La Parola di Dio per P. Antonio più che un libro è una Persona: è Gesù, il Verbo del Padre. Il silenzio e il raccoglimento abituale che lo caratterizzavano, favorivano il suo vivere assorto nella Parola del Signore amata, pregata, contemplata e vissuta. Inoltre il suo temperamento riflessivo e discreto era stato modellato in una famiglia e in una città per sua propria natura vestita di silenzio e non di frastuoni. È un po’ difficile oggi immaginare o capire questo ambiente di famiglia e di città perché viviamo in un contesto familiare e sociale dove ciascuno sembra vivere dentro il rumore dell’altro. P. Antonio non era estroverso, come il fratello Marco, ma ha paziente mente educato se stesso a scoprire il contenuto segreto dell’unica Parola che conta e con perseveranza ha imparato a “sentire e a soffrire” la Parola, ad assaporarla, a piantarla ogni giorno nella sua vita, come buona semente. Conoscendo il raccoglimento e l’amore che P. Antonio aveva per la Parola del Signore, viene alla memoria ciò che scriveva D. Bonhoeffer: “Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola perché i nostri pensieri siano già rivolti alla Parola. Facciamo silenzio dopo l’ascolto della Parola perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Facciamo silenzio la mattina presto perché Dio deve avere la prima parola. Facciamo silenzio prima di coricarci perché l’ultima parola appartiene a Dio. Facciamo silenzio per amore della Parola”.

P. Antonio è vissuto sempre in ascolto della Parola. Ha fatto “silenzio” lasciando che fosse il suo stile di vita a parlare e a mostrare la Parola. La Parola del Signore era per lui quello che la manna era stata per il popolo d’Israele nel deserto: l’alimento principale e ognuno doveva custodire e alimentarsi con una razione diaria. Per questo ai suoi figli spirituali e ai giovani, P. Antonio raccomandava la lettura quotidiana della Parola di Dio. Sapeva il perché, ne aveva esperienza: la vita cristiana non diventa feconda senza la Parola di vita eterna. Veramente la Parola del Signore ha “e-ducato” il P. Antonio, ha tirato fuori da lui “la conoscenza di se stesso, la conoscenza del Signore e lo ha messo nel cammino sicuro per conoscere gli altri e la realtà del mondo”. Questo è stato uno degli insegnamenti fondamentali di P. Antonio quando predicava gli esercizi spirituali. La vita cristiana che non è evangelizzata ogni giorno dalla Parola di Dio meditata e amata, custodita e trasformata in comportamento è una strada senza punti di riferimento sicuri, un cammino in balia delle intuizioni del momento e di gusti superficiali.

La speranza cristiana non delude

La Parola di Dio, insegna P. Antonio, deve essere messa in dialogo concreto con la storia e con la vita di ogni giorno e di ogni persona. Essa illumina la mente e forma il cuore, costruisce la famiglia e la comunità cristiana, struttura la società secondo i criteri del Regno di Dio. Ma perché questo avvenga è necessario che ci sia da parte di ciascuno un desiderio, un’attesa, fame o sete di questa Parola. Allora la Parola ti “scopre”, ti mette a nudo, ti interroga e ti riempie di misericordia, rimane in te e in te “realizza quello per cui è stata inviata”, ti trasforma e ti invia e da viatico che era per te pellegrino, diventa “pane condiviso per la vita del mondo”. “La forza del Vangelo sconvolge i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità” (EN 19)

Attraverso l’assimilazione della Parola del Signore P. Antonio ha felicemente intuito la forza del “consenso” da parte dei ragazzi, consenso fondato sulla fiducia e sull’amore. La qualità interiore del processo educativo avviene nell’intimo e non si misura sul risultato ma è legato al mistero dell’esistenza umana e alla carica utopica di ciascuno e alla libera e fiduciosa adesione allo stesso processo educativo e all’educatore.P. Antonio si mette in ascolto della Parola del Signore. Sa che la speranza cristiana non è un vago desiderio, è una certezza, sorge dalla fede e si nutre di carità e diventa Scuola di Carità. In questa scuola insegna e ripete continuamente l’invito ai giovani:“Rivestitevi con la corazza della fede e della carità, avendo come elmo la speranza della salvezza”(1Ts 5,8). La sua speranza non è un frutto dell’effimero e del passeggero, essa dice piuttosto stabilità e continuità di dedizione nella battaglia della vita. Così, nonostante le persecuzioni, la soppressione degli Ordini e Congregazioni religiose, il sequestro dei beni, le proibizioni: “dalla pubblicazione del presente editto nessuno si autorizzi, ed ardisca di aprire una scuola di leggere, scrivere e di aritmetica, di scienze, o d’istituire sotto qualsivoglia denominazione e titolo, collegio convitti di educazione senza il preventivo speciale permesso dell’Imperial Regio Governo centrale”(Decreto IRG 1804), P. Antonio protetto dall’elmo della speranza va avanti per la strada che il Signore gli mostra e alla richiesta “con quali titoli sia esercitatala scuola” risponde insieme al fratello: “Il titolo per cui si presta a coltivare la gioventù è sacro, perché deriva da un sentimento di carità”. 

Colui che spera è teso verso il compimento di qualcosa, non è però attesa febbrile e angosciosa ma capacità di superare le difficoltà del presente per scoprire che già si è in possesso di un dono: il Signore vede e provvede. La Chiesa da sempre ha bisogno di uomini e di comunità di speranza: per questo P. Antonio, insieme al fratello Marco è arrivato a pensare e a realizzare nella speranza di frutto due singolari congregazioni di religiosi e religiose, di “maestri e maestre” che fossero, però, più padri e madri che maestri e maestre e che si dedicassero all’educazione dei “fanciulli e delle donzelle”.La speranza cristiana ha un carattere comunitario per rispondere alle necessità dei più bisognosi.“Siate sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi a chiunque ve lo domandi” (1Pt 3,15). La speranza di cui si deve dar ragione per P. Antonio è la provocazione a rimanere giovane, come è giovane laParola di vita dalla quale siamo stati generati. Sperare contro ogni speranza, sperare in una vita che vince la morte, nel bene che vince il male, nella forza dei deboli e dei poveri che vincono gli arroganti e i forti di questo mondo, sperare che il seme piantato oggi, con l’educazione cristiana, darà frutti domani. La speranza diP. Antonio, lui così timido e riservato, guarda in alto ma cammina con i piedi ben piantati per terra. Le calamità storiche in cui visse, la fragilità o l’assenza di una educazione familiare per tanti giovani, suggerivano prevenzione amorosa, vigilanza costante, ambienti sicuri per lo studio, il gioco, la formazione morale e il lavoro, creatività e dedizione incondizionata: in fin dei conti una sana disciplina, una famiglia.

La speranza cristiana rende liberi e fedeli

Proprio perché cammina con i piedi per terra P. Antonio sa che senza una disciplina e un corretto senso del limite, nell’educazione non si va tanto lontani. Senza una guida sicura, senza uno scopo, senza una coscienza critica sveglia e umile non si diventerà mai persone autentiche capaci di cambiare la società. La gravità del problema giovanile nei suoi riflessi educativi, civili, religiosi pretendeva definizioni rapide e radicali. E queste non sono possibili senza libertà di azione. Con fierezza P. Antonio collocò la libertà della scuola a fondamento della sua azione educativa per “coltivare, difendere e sovvenire”. La scuola deve essere strumento di vita cristiana, laboratorio di fede e di una fede che diventa cultura, “perché una fede che non diventa cultura, è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata e non fedelmente vissuta” (Ecclesia in Africa 78). 

Nel 1820 davanti al decreto del Viceré dell’Impero Austro-ungarico, residente a Milano, dove si leggeva: “Si facesse intendere ai sacerdoti fratelli Cavanis che essi debbono limitare le proprie sollecitudini, che i loro giovanetti devono frequentare le vicine scuole del Ginnasio pubblico; mentre per gli altri ragazzi raccolti, destinati ai mestieri e alle arti utili, sarebbe soverchio ogni studio…”, P. Antonio risponde con i fatti e prepara collaboratori alla missione educativa: “coll’orazion e collo studio, e coll’esercizio ad acquistare le cognizioni proprie dell’istituto, ad avvezzarsi alla sofferenza indispensabile a tal uffizio, a conoscere le industrie e li delicati riguardi che si convengono alla difficile coltura della gioventù bisognosa di ogni assistenza, e ad accenderse di uno spirito generoso ed ardente di carità…” Tutti, religiosi, sacerdoti, laici, uomini e donne devono mantenersi “liberi” per la scuola, l’oratorio “o assistere le dottrine in qualsiasi uffizio che venisse loro affidato” in forma del tutto gratuita, con una spiritualità gioiosa, nell’umiltà e nella letizia del cuore. Solo così, dice P. Antonio: “si fuggirà che siffatte Istituzioni, che, cominciando per bene dei poveri, vanno si facilmente a finire a vantaggio dei men bisognosi e dei ricchi. Quod Deus avertat!”. La libertà e la povertà evangelica camminano insieme e sono messe da P. Antonio come salvaguardia della vera

educazione per poter “essere continuamente colpiti dai benefici di Dio!”. Per P. Antonio il valore della povertà evangelica non è tanto nella mancanza delle“cose” ma nella libertà da esse, per rendersi solidali e“diventare dono” per gli altri. Più che fare tanti donativi ai più bisognosi, come i “grandi di questo mondo che si fanno chiamare benefattori”, P. Antonio liberamente fa dono della sua vita e si fa povero. Altri possono avere opere più grandi, diceva, ma quello che noi dobbiamo sempre ricercare è l’amorosa paternità, l’unità e l’eguaglianza e non creare barriere tra i ragazzi poveri o ricchi, tra le persone che appartengono allo stesso progetto educativo e alla stessa comunità cristiana, non perdere mai di vista la formazione del cuore.

C’è una speranza per il nostro futuro

P. Antonio ha continuato a “gettare le reti, come pescatore di uomini” durante più di cinquant’anni, sempre pronto a rendere ragione, con dolcezza e rispetto, a chiunque domandasse, della speranza che ardeva in cuore (cfr. 1Pt 3,15). Ha costruito umilmente una porzione di “terra nuova”, un futuro, un nuovo cielo e la sua vita è stata e continua ad essere un segno di speranza per i giovani di oggi e per chi si dedica all’educazione della gioventù. Dio solo, Padre buono che vede e provvede, dona la fede: P. Antonio ne ha dato testimonianza. Dio

solo può dare la speranza: P. Antonio però ha saputo infondere fiducia nei giovani e negli adolescenti. Dio solo può dare l’amore e la forza fino al sacrificio di se stessi e P. Antonio lo hanno insegnato dandone l’esempio. Dio solo può dare la pace: P. Antonio però ha seminato unione e fraternità rompendo gli schemi rigidi di una società classista e che escludeva i più poveri. Dio solo illumina sul “che cosa fare per aiutare”: P. Antonio si è fatto docile alla “amabilissima Volontà di Dio” per essere sostegno e guida di “tanta povera gioventù dispersa”. Dio solo è la via: P. Antonio però l’ha indicata a molte generazioni di bambini e bambine. Dio solo è la luce: P. Antonio l’ha fatta brillare agli occhi, alla mente e al cuore di quanti lo hanno conosciuto. Dio solo è la vita: P. Antonio però ha fatto rinascere negli “ultimi e negli esclusi” il desiderio di conoscere e di vivere. Dio solo può fare ciò che appare impossibile: P. Antonio ha creduto e sperato e ha fatto tutto il possibile, ha fatto la sua parte. Dio solo basta a se stesso: Egli però ha preferito contare su Antonio e Marco Cavanis e li ha fatti santi e umili di cuore, costruttori del suo Regno.

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