Padri dei figli di “nessuno”e dei figli degli altri

Le “Casa do Menor” a Ponta Grossa, Castro, Ortigueira, São Paulo, Belo Horizonte, Uberlândia, sono diventate “mamme comunitarie” che non abbandonavano i figli sulla strada...

Formazione.
Formazione.

L’ultimo Capitolo generale ha ribadito l’impegno carismatico della Congregazione nel servizio ai giovani, in particolare alla “povera figliolanza dispersa”. Il discernimento capitolare deve ora continuare in ogni realtà territoriale. Il discernimento si fa sulla strada percorsa dalla Congregazione fin dalla sua origine, per riscoprire da dove siamo partiti, sulla realtà attuale di un mondo in continuo e accelerato cambiamento e in una Chiesa in uscita, per sapere dove andare. Facendo discernimento presente delle nostre “Case do Menor” in Brasile, ci sono alcuni elementi che meritano di essere ricordati. Secondo lo spirito e la “grazia dei primi tempi”, si sono accolti in case appropriate  bambini e adolescenti a rischio e senza possibilità di frequentare la scuola, spesso anche facili vittime di violenze familiari e sociali. Abbiamo iniziato con senso di impotenza di fronte alla gravità del problema. Nei primi anni era molto frequente leggere nei giornali, per esempio in O Sao Paulo,notizie di questo tipo: “Na Baixada Fluminense, a Rio de Janeiro, in questo mese hanno già ucciso 36 ragazzi”, quelli “marcados para morrer”, ovvero “candidati alla morte”. Allora per essere presenza di Dio, “padre, madre E famiglia” per chi non è amato da nessuno, abbiamo iniziato una nuova avventura secondo lo spirito di P. Antonio e P. Marco Cavanis che in cielo hanno festeggiato con Gesù che ripeteva loro: “Lo avete fatto a me”.

I primi ragazzi che hanno frequentato la Casa erano figli di tanti abbandoni: della famiglia, della scuola, della società, dei governi e anche delle Chiese. Figli di tante assenze e frutto di un “aborto comunitario”. Cosi era nel tempo dei nostri Fondatori: “Vagavano per le strade con lo sguardo perso nel nulla, come morti viventi, rigettati da tutti, stranieri nella loro propria terra, sradicati, senza riferimenti, senza direzione, senza sogni né futuro. Per loro, la strada rappresentava contemporaneamente tutte e nessuna direzione”. Erano il risultato di una società crudele e escludente, che non ama, che ruba i loro diritti fondamentali, li condanna e li uccide per zittire voci che suonavano come accuse. A loro era stato rubato tutto. Anche il diritto di essere bambini, adolescenti, di avere un letto, di mangiare, di giocare, di poter sognare, di avere prospettive e un futuro. Erano lo specchio di una società con relazioni profondamente ammalate. Erano un grido, la fotografia che rivelava il lato oscuro della società. La realtà attuale dei ragazzi, in Brasile e nel mondo intero, è segnalata come peggiore, non vivono più nelle strade come prima, ma cercano nel narcotraffico sicurezza, appartenenza, visibilità. Uccidono, e sono uccisi, perché questa è la legge degli ambienti criminali.

Partendo da questa triste “fotografia” si fece strada un progetto di “parto comunitario”, per offrire loro: presenza di una famiglia, amore, scuola, professione, futuro e dignità. Sono nate così le prime “Case do menor” per bambini “filhos do coraçao”. Sulle strade imparavano un’altra filosofia, conseguenza di una società spaccata. Le “Casa do Menor” a Ponta Grossa, Castro, Ortigueira, Sao Paulo, Belo Horizonte, Uberlandia, sono diventate “mamme comunitarie” che non abbandonavano i figli sulla strada, ma li aiutavano a risorgere come figli amati dal Padre. Oggi, più che mai i ragazzi e i giovani sono “povera gioventù dispersa”, e il “demonio continua a fare un’orrenda strage”, dietro il loro grido “in questo mondo violento” c’è un fortissimo bisogno di sentirsi amati come figli, perché chi non si sente figlio non si ama ed è pronto a distruggere tutto e a distruggersi. Di conseguenza, non potrà poi essere genitore né costruire prospettive di futuro. Quale discernimento di sta facendo sulla realtà attuale delle “Casa do Menor”? Sono semplicemente “opere sociali”? E questa la loro identità? Chi preserva e coltiva lo spirito dei Fondatori? Anche nelle altre realtà educative delle altre parti territoriali della Congregazione, per la mancanza attiva di religiosi si sta perdendo  l’identità e la “grazia dei primi tempi”?

P. Diego Spadotto, CSCh

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