“Passiamo all’altra riva” (Lc 8,22-25)

La consapevolezza del parziale fallimento dell’attuale sistema convive con la paura di affrontare il cambiamento necessario per farlo funzionare come dovrebbe.

P. Diego Spadotto

Nella Chiesa, secondo le prospettive che emergono dal cammino sinodale, la tendenza al segno “meno”, sembra irreversibile: meno sacerdoti, parrocchie, seminari e chiese, meno fedeli che le frequentano, meno ragazzi al catechismo. Sarà una Chiesa meno “potente”, più efficace, missionaria e sinodale, non autoreferenziale ma a servizio della società e della casa comune. In essa niente può essere ritenuto risolutivo o vincente. Questa è la realtà. Come Congregazione, stiamo intercettando i cambiamenti e il ridimensionamento da fare, le necessità della gioventù dei nostri giorni,con la consapevolezza che ci troviamo davanti a un cambiamento d’epoca?  Non siamo una potenza né dobbiamo esserlo, per questo, secondo il nostro carisma, non dobbiamo offrire ai ragazzi tutto ciò che possono trovare altrove e in abbondanza. Possiamo offrire però il dono ricevuto, la paternità e la bellezza del Vangelo. “Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare sempre le stesse cose”. Follia è fare sempre le stesse cose e allo stesso modo e aspettarsi risultati diversi. Per risultati diversi, occorrono azioni diverse; per azioni diverse occorre una mentalità diversa, una vera qualità evangelica della nostra vita spirituale, l’assunzione specifica del carisma. La pastorale “generica” ha fatto gravi danni,. Abbiamo trasformato le “opere e attività di Carità” in “opere sociali” per attendere amministrazioni in mano a adulti senza scrupoli, corrotti e senza ideali veri, condizionati dal potere dei social. In passato, i giovani erano il problema e gli adulti la risposta, oggi i giovani sono la risposta, gli adulti il problema.

Non serve riflettere sul futuro della vita consacrata Cavanis, è tempo di mettere mano alla vita consacrata Cavanis del futuro. Nel nostro apostolato poche cose sembrano incidere sul processo di formazione della gioventù. Catechismo? Scuola cattolica? Prediche e celebrazione dei sacramenti? L’infarinatura cristiana offerta nel tempo dell’iniziazione cristiana serve ben poco. La consapevolezza del parziale fallimento dell’attuale sistema convive con la paura di affrontare il cambiamento necessario per farlo funzionare come dovrebbe.

I religiosi spiritualmente “adulti ” si sono eclissati, sembrano Peter Pan. L’impasse in cui ci troviamo è questo: “rispondere a domande che nessuno si pone” (Evangelii Gaudium 155). I segni di una vera e propria “introversione congregazionale”, sono sempre più evidenti e non annunciano nulla di buono. Quali sono le domande che la gioventù oggi si pone? Ai giovani sembra non servano religiosi “adulti anagrafici”, tutti presi da loro stessi, pacificamente narcisi, indifferentemente autoreferenziali, in un mondo di “credenti non praticanti”.

Bisogna avere il coraggio di confrontarsi con la realtà, “avviamo processi”, accogliendo l’invito di Gesù: “passiamo all’altra riva”. Passiamo all’altra riva insieme a Lui, non soli. La navigazione è faticosa e piena di pericoli e di rischi ma lui è presente e ci aiuta a portare nel cuore e sulle spalle, le attese e i pesi della “povera figliolanza dispersa”. 

É ora di “passare all’altra riva”. Gesù, come allora, sembra dormire sulla nostra barca e noi, come gli apostoli, gridiamo: “Maestro siamo perduti”. Lui fa cessarela tempesta e ci chiede: “Dov’è la vostra fede”? Non serve sognare attività con i giovani ancorate a una pastorale generica, a una protezione dai rischi e dai conflitti che la storia presenta, per rifugiarsi in un mondo che non esiste più. Chiediamoci prima di tutto dov’è la nostra fede. La realtà della gioventù è in continua trasformazione, con tensioni, complessità, sfide e ambiguità proprie del tempo presente.

Fuggire nel passato o in un futuro immaginario non porta a soluzioni mature. Meglio la concretezza, la fiduciosa presa in carico della realtà, che permette di prendere il largo senza paura. Questo realismo, a volte, assume la forma di una lotta. Nella nostra vita consacrata, per passare all’altra riva, cambiare, ridimensionare, bisogna prima verificare la solidità della barca che è la Vita spirituale, caso contrario sarà naufragio.

Non confondere la vita spirituale con le “pratiche di pietà” devozionali. Bisogna recuperare una “forma” più evangelica della vita consacrata non la solita “minestra riscaldata” o i soliti “fallimenti”, come certi capitoli, riunioni, programmazioni fatte a tavolino, trasferimenti di emergenza, che hanno parvenza di comunione e fraternità sinodale, ma si fermano solo sul metodo, sull’esteriorità, e quasi mai sui contenuti e la spiritualità. Ridimensionare non è riproporre il passato ma rischiare qualcosa di nuovo.

Nessun “ridimensionamento” di una o altra parte territoriale della Congregazione sarà benefico ed efficace senza metter mano alla vera sostanza e identità della vita consacrata Cavanis. Allora, domandiamoci: 

1) L’assimilazione della spiritualità Cavanis, lungo il cammino di formazione permanente è automaticamente legata al completamento degli studi accademici? Essi formano il religioso Cavanis? 

2) Quale profonda formazione spirituale hanno i formatori dei giovani religiosi?

3) Nelle “opere” la preoccupazione maggiore è la qualità dell’educazione, la formazione alla fede, l’amministrazione secondo povertà e etica evangelica o sono i risultati economici e il “successo sociale”?

4) Come correggere la deriva della “parrocchite”, la fuga dalla vita comunitaria e dal lavoro a contatto con i giovani? 

5) Gli “studi” che i giovani Cavanis vogliono intraprendere, sono finalizzati al carisma, o alla realizzazione personale, a sterili dialettiche o al carrierismo? 

6) Formatori e superiori sanno intercettare in tempo opportuno, “i vuoti umani e spirituali” dei candidati alla vita religiosa, per prevenire delusioni future? 

7) Le “cinque piaghe” o virtù di cui parla P. Antonio, sono alla base dell’ascetica Cavanis nel cammino di formazione? 

P. Diego Spadotto, CSCh

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