La festa di San Giuseppe Calasanzio (25 agosto), patrono principale dalla Congregazione delle Scuole di Carità, per i religiosi Cavanis di oggi ha lo stesso significato, importanza e solennità che ha avuto per i Padri Fondatori e i ragazzi della loro Scuola?

Essa era il luogo per riunirli, custodirli e orientarli? Oggi, la Scuola, nei Paesi ad alto sviluppo tecnologico, non offre più un orientamento, una direzione alla vita. Si limita a istruire, non educa. É semplice “meccanica”. Viene spiegato come funziona una macchina ma non verso dove andare nel viaggio della vita. Bambini, ragazzi e giovani sono sempre più tecnologici, competenti, funzionalisti ma sempre più svuotati nella categoria del senso della vita.

Con la sola trasmissione di attitudini pratiche si vengono a creare quei vuoti che generano alcune patologie: insicurezza, angoscia, frustrazione, paralisi davanti alle grandi scelte della vita. Frutti di un’istruzione che non trasmette un orientamento ed elude la domanda di significato.

La vita diventa uno spreco di energia che produce ansia, non certo gioia. La vita è domanda, fatica, smarrimento, esperienza di cambiamento, perdita ma anche rivelazione di ciò che non può essere perduto, cioè l’essenziale. 

Educazione è sempre “educazione alla domanda”, alla messa in discussione delle cose. Educare non è solo insegnare a gestire la vita, ma anche a scoprire quanto la vita nasconde nel suo interno. In questo senso l’educazione è educazione all’intelligenza (intus legere), a leggere dentro se stessi e la realtà. Secondo San Giuseppe Calasanzio e i Cavanis, è difficile poter pensare a un’educazione che faccia a meno della preghiera/ascolto di se stessi, della realtà, di Dio e di esempi viventi per non perdere di vista la meta della vita. Senza tutto questo, le parole sono inutili.

La dignità della persona e il suo orientamento si scoprono attraverso un’educazione corretta e nel saper far crescere convenientemente l’essere interiore, che formerà la propria irrepetibile personalità adulta. I giovani educati all’intelligenza conoscono il proprio potenziale e la propria insufficienza, ma al tempo stesso, sono aperti al significato profondo dell’esistenza e disponibili al dono di se stessi per il bene comune.

Non si diventa adulti quando si è capaci di tenere sotto controllo l’esistenza, ma quando si accoglie tutto ciò che sfugge alla nostra presa e non coincide con l’immaginario che ci siamo costruiti dentro la nostra testa. Quando i giovani imparano a conoscere i propri limiti e il significato dell’esistenza diventano protagonisti benefici nella società. 

Finché si continuerà a pensare all’educazione semplicemente come un passaggio di competenze e non come l’arte di vivere, si avranno giovani che abitano il mondo in maniera inconsapevole, senza essere se stessi e incapaci di un futuro migliore per tutti. Il peggio che possa accadere a questi giovani è avvertire un desiderio di felicità ma guardarsi attorno e non vedere nessuno felice. Gli educatori se vogliamo salvare i giovani dalla loro infelicità, devono riprendere in mano la loro personale felicità e mostrare ai giovani che non si può essere felici in una società costruita attorno alla “pancia”. Per i Cavanis il donarsi ai giovani è consequenziale del saper vivere in profonda comunione con Dio.

In un tempo come il nostro, è più che mai necessario leggere la vita a partire dalle relazioni di responsabilità, di cura e dalla presa di coscienza che la nostra fatica nel campo educativo non è l’unica sofferenza al mondo. Primo frutto della crisi degli educatori è la messa in discussione del loro immaginario, la scoperta dei propri limiti come educatori e, infine, la possibilità di elaborare nuovamente desideri per cui lottare e, salvando i semi di speranza, ricominciare a seminare.

Cosi hanno fatto il Calasanzio e i Cavanis. Non c’è niente di più stancante che l’io di un educatore insoddisfatto e narcisista. Pensieri, emozioni, sentimenti di inadeguatezza,  nella missione educativa non possono definirsi buoni o cattivi. É il come si reagisce a tutto questo a dire se hanno suscitato un bene o un male dentro di noi.

La serena speranza di frutto e l’umiltà dell’amore che non vuole perdere nessun giovane, sono le virtù dell’educatore Cavanis. 

P. Diego Spadotto, CSCh

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