La vita religiosa in Cristo è essenzialmente e prima di tutto apertura del cuore e della mente di ciascuno all’ascolto della voce dello Spirito, all’adorazione del volto di Cristo che ci apre al mistero insondabile di amore del Padre. E questo significa “adorazione”. Cioè, essere aperti, essere grati, consapevoli che noi riceviamo tutto dall’amore del Padre, che egli ci ama per primo e che noi, di conseguenza, siamo chiamati ad ascoltare i giovani e a ridonare il suo amore ai giovani come a dei figli.
Questa è la radice della vita Cavanis ed è la radice anche del processo sinodale. Il Concilio ci ha fatto riscoprire la Chiesa come è: unità nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, comunione e missione. Oggi, dopo tutto un cammino in cui abbiamo trovato nuove energie e fatto esperienza, siamo pronti a compiere un passo ulteriore. Possiamo far diventare vita, in tutte le espressioni della comunione e della missione, quella partecipazione al mistero di Cristo in cui siamo inseriti. La Congregazione è tale solo quando è portata sulle proprie spalle da tutti ed è condivisa nel proprio cuore da tutti, a servizio dei fratelli, soprattutto a cominciare dai giovani.
La partecipazione al cammino sinodale della Congregazione non è semplicemente un optional, per far vedere che siamo capaci di una certa misura di condivisione. Si tratta di una questione di identità profonda.
O la mettiamo in atto questa partecipazione alla vita di grazia di fede e di amore, alla speranza di Cristo, oppure non siamo fino in fondo, ciò che dovremmo essere per la grazia del nostro Battesimo. La situazione è storicamente un dato di fatto, nella Chiesa per lunghi secoli, per necessità di crescita storica, di maturazione, di missione in un mondo difficile, è prevalsa una visione principalmente piramidale.
Questo ha impedito che venissero valorizzate tutte le energie dello Spirito presenti nel Popolo di Dio, e per noi Cavanis le energie sempre nuove dei giovani, da scoprire per renderli sempre più corresponsabili. Dobbiamo cercare di aprirci all’azione dello Spirito che rende tutti corresponsabili in prima persona. Come San Giuseppe, specialmente nei momenti di prova della vita, abbiano fiducia in Dio per perseguire il suo disegno di amore, anche quando le cose non sono chiare. Accettare la realtà non significa essere passivi o semplicemente tolleranti dinanzi a qualcosa.
“Si calpestavano a vicenda”. Se questa annotazione ha solo un semplice compito descrittivo per dire che c’era molta gente attorno a Gesù, è significativo pensare che a volte il nostro stare attorno a Gesù ha come effetto collaterale quello di “calpestarci a vicenda” in ogni incontro o riunione. Dovremmo invece “edificarci a vicenda” o “portare i pesi gli uni degli altri”, eppure non di rado il nostro essere Congregazione ci calpestiamo a vicenda. Non basta essere insieme attorno a Gesù per dire che siamo religiosi.
Forse Gesù, nel cammino sinodale sfoltirà ancora le Vita consacrata, attraverso il suo insegnamento davvero esigente: “Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze”.
Quante cose cambierebbero se quello che ci portiamo in cuore fosse visibile a tutti. Forse molti perderebbero la faccia e la buona fama. Il nostro cuore alle volte è come un tappeto sotto cui mettiamo tutta la sporcizia che per ipocrisia non vogliamo far vedere agli altri. L’ipocrisia di cui parla Gesù è continuare una vita religiosa finta, che alla fine miete come unica vittima noi stessi.
Chi indossa troppo una maschera alla fine dimentica chi è davvero e vive con la paura che qualcuno possa scoprirlo, facendo emergere il vuoto che spaventa. Nel cammino sinodale impariamo ad alzare il tappeto del nostro cuore per fare una sana pulizia. Dobbiamo far riconciliare il dentro con il fuori. Quello che pensiamo con ciò che diciamo. Quello che ci portiamo dentro con le decisioni che prendiamo all’esterno (Cfr Lc 12, 1-7).
P. Diego Spadotto, CSCh
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