Vita consacrata Cavanis cammino di affidamento a Gesù Cristo e di servizio ai giovani

Fede, etimologicamente, significa “corda, legame”. Il religioso accoglie l’invito di legare la sua vita a Cristo...

Formazione.
Formazione.

Fede, etimologicamente, significa “corda, legame”. Il religioso accoglie l’invito di legare la sua vita a Cristo, in un relazione di fiducia alla sua Persona, prima che di adesione a dei principi, affidamento da persona a persona più che indicazione morale. Nella formazione alla vita religiosa si è privilegiato l’adesione a dei principi, a delle regole.

Oggi, è necessario percorrere la via dell’affidamento a Cristo per avviare processi di crescita, che portino, con il discernimento comunitario, all’adesione.

Per arriuvare all’affidamento bisogna ritrovare il linguaggio della  gratuità della salvezza e lasciare in secondo piano quello della sicurezza delle regole. La salvezza viene dal Signore, la sicurezza è ciò che gli uomini cercano, costa cara e genera paura. La nostra Congregazione ha sempre avuto una crescita ben ridotta, se si confronta con altre congregazioni nate negli anni dell’800 in Europa, ma si è sempre affidata alla Provvidenza più che alle sicurezze umane.

Attualmente dietro la facciata dei numeri che dicono continuità di crescita lenta, ci sono alcuni segnali di allarme che non possono essere sottovalutati. In Europa questi segnali sono il crollo della partecipazione religiosa, difficoltà particolarmente forti tra i giovani e i ceti più istruiti e, per noi Cavanis, l’assenza di vocazioni da troppi anni, in Italia.

La Chiesa in Europa e in Italia si trova di fronte a uno snodo generazionale senza precedenti: nella popolazione che ha meno di 30 anni, coloro che non credono e si sentono del tutto indifferenti rispetto alla «questione Dio», sono maggioranza.

La Chiesa europea, già assottigliata, si ritrova con un numero assai esiguo di fedeli. Lo spostamento del baricentro in aree economicamente, politicamente e socialmente più arretrate è una buona notizia solo a metà. Il timore è che le cose siano destinate a cambiare rapidamente anche in quei contesti.

La struttura della Chiesa, non solo in Europa, appare inadatta a stare al passo con un mondo diventato veloce e plurale. Manca la consapevolezza che non è più possibile parlare dell’esperienza religiosa e di Dio usando lo stesso discorso di quando la fede era un’evidenza sociale. 

Occorrono parole capaci di trasmettere l’esperienza della fede come affidamento, nella ricerca di nuove vie di presenza e linguaggio. Se il messaggio del Vangelo, la buona notizia dell’amore che salva e vince la morte, è arrivato fino a noi è perché ha saputo parlare al profondo del cuore degli uomini e delle donne, dei giovani soprattutto, lungo i venti secoli che ci hanno preceduti. Questa forza che ha attraversato la storia si è fondata su almeno tre elementi.

Il primo é il fatto che il cristianesimo é una religione in cui è Dio che si sacrifica per l’uomo, e non viceversa. 

Questo è uno «scandalo» per l’uomo contemporaneo, affascinato dai miti dell’efficienza, della onnipotenza tecnica. Il secondo elemento riguarda la salvezza eterna.

Con la modernità, il problema si è spostato dalla salvezza eterna al successo mondano, dalla cura dell’anima, al benessere materiale. Il terzo elemento è l’universalità, la Chiesa é consapevole della necessità di annunciare a tutti il Vangelo. 

Ora, anche la nostra Congregazione ha intuito che il proprio destino è legato all’internazionalità della sua missione e sa che questi tre elementi sono soggetti a una profonda erosione, sotto la spinta di cambiamenti storico-culturali di enorme portata. 

E’ urgente verificare come annunciamo e testimoniamo il Vangelo. L’impegno a imparare, curare e  usare un linguaggio più appropriato e rispettoso della sensibilità delle persone, della diversità delle idee, dovrebbe portarci ad approfondire la nostra vita di preghiera e a pensare di più e meglio con il cuore, prima di parlare, misurando la comunicazione sull’esigenza della comprensione delle persone e in particolare dei bambini e dei giovani. 

“La lingua sia una lingua mite, secondo l’insegnamento del Signore”, perché siamo consapevoli che la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole. La forma è sostanza fra gli uomini, e il modo, il tono, il rispetto con cui parli all’altro sono già il segno di chi è l’altro, per te.

P. Diego Spadotto, CSCh

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